Ad Attilio De Razza il secondo David di Donatello della carriera con “La stranezza”, che domina la serata dei premi di questa edizione dei David di Donatello 2023. Il film candidato in 14 sezioni si afferma per la migliore sceneggiatura di Roberto Andò (il regista), Ugo Chiti e Massimo Gaudioso, per il miglior costumista che è Maria Rita Barbera. E, infine, anche come miglior produzione per Bibi film, Medusa e Rai Cinema con De Razza sul palco dell’Oscar italiano a ritirare l’ambitissima statuetta.
Attilio De Razza è uno dei soci della Tramp Limited, casa di produzione che collabora con Tracce e a cui la scuola sottopone i progetti migliori provenienti dai corsi di cinema.
Sessant’anni di età e quaranta di attività nell’ambito del cinema con grandi successi come i film con Ficarra e Picone con i quali lavora per sei film cinematografici e due stagioni di serie tivù su Netflix. L’ora legale, per altro, vince anche un Nastro d’argento.
I prossimi progetti: “Stanno per iniziare le riprese tra Catania e Roma del nuovo film di Natale con Ficarra e Picone”. A cui segue il film di sperimentazione, essenza del Cinema: “Tra ottobre e novembre si incomincia a girare “Non sarà per sempre così”, con riprese tra Milano e Roma, di Francesco Costabile, autore del film “Una Femmina” selezionato al Festival Internazionale del Cinema di Berlino”.
Due nuovi corsi in partenza ad aprile per la Scuola di cinema Tracce
Parte il 26 aprile 2021 la sesta edizione del Corso di Regia, come sempre coordinato da Andrea Molaioli, regista e sceneggiatore e che vede la presenza anche di docenti come i registi Daniele Luchetti, Denis Rabaglia e Antonio Capuano, il direttore della fotografia Vladan Radovic, i montatori Claudio Di Mauro e Annalisa Forgione, gli sceneggiatori Graziano Diana e Heidrun Schleef, il fonico Emanuele Cecere, lo story editor Gino Ventriglia.
Corso di Regia Cinematografica
Il Corso di Regia analizza in maniera completa l’esperienza del regista in relazione a tutti i reparti di una troupe cinematografica. Durante i mesi del corso, ogni corsista scrive la sceneggiatura di un cortometraggio, analizzata dai coordinatori e dai docenti, e viene affiancato nella preparazione, nelle riprese e nel montaggio finale del cortometraggio.
Sono in corso le selezioni e le iscrizioni sono subordinate ad un colloquio e alla presentazione di materiale pregresso che dimostri una conoscenza di base sulle tecniche cinematografiche.
Fissato per il 24 aprile 2021 ilCorso di Sceneggiatura di II Livello, (corso master), destinato a chi già ha frequentato il nostro corso base, o a chi già conosce le tecniche base della scrittura cinematografica e che quindi può affrontare questo percorso formativo che prevede la realizzazione di una sceneggiatura per lungometraggio da presentare al produttore Nicola Giuliano della Indigo Film.
Il corso vede la partecipazione degli sceneggiatori Graziano Diana e Heidrun Schleef, lo story editor Gino Ventriglia, il montatore Claudio Di Mauro, il regista Andrea Molaioli, il critico cinematografico Mario Sesti, il regista Denis Rabaglia e due lezioni, una iniziale e una finale del produttore premio Oscar Nicola Giuliano, che spiega cosa si aspetta un produttore da una sceneggiatura, lezione fondamentale per uno sceneggiatore. Le selezioni sono in corso e le iscrizioni si effettuano su questa pagina.
(attenzione, nel testo sono presenti alcuni spoiler).
Ho pensato per la prima volta a Squid Game tra il 2008 e il 2009. Non stavo lavorando a nessun film ed è stato un periodo finanziariamente difficile per me. Non avevo soldi per coprire le spese di soggiorno della mia famiglia e avevo bisogno di ottenere prestiti. Passavo molte delle mie ore libere nei negozi di manga, leggendo tutti i fumetti. E c’erano molti fumetti come “Battle Royale” e “Liar Game” che mostravano giochi di sopravvivenza con i partecipanti che rischiavano la vita per portarli a termine e mi sono sentito abbastanza disperato da chiedermi se io anche avrei mai potuto partecipare a giochi simili nella realtà, se ne avessi avuto la possibilità.
Sarà il regista e sceneggiatore Daniele Luchetti ad inaugurare il 16 giugno, la cinquantesima edizione del Corso di Sceneggiatura “Scrivere un film” della scuola di Cinema Tracce.
Daniele Luchetti ha vinto come regista o sceneggiatore cinque David di Donatello, due Globi d’Oro, due IOMA, un Nastro d’Argento e molti altri premi internazionali.Nel 2011 ha ricevuto il premio come miglior regia al David di Donatello per il film La nostra vita. Dal 1988 al 2011 ha vinto 4 David di Donatello.
Nella sua lezione introduttiva, una vera e propria Masterclass, Daniele Luchetti parlerà del ruolo dello sceneggiatore, di come si riconosce il talento, a come si inizia, da quali fonti e testi si attinge, come si comincia a scrivere e come si prosegue, rivelando segreti del mestiere, aneddoti e soluzioni derivanti dalla sua grande esperienza.
Il corso di sceneggiatura “Scrivere un film”
Da questa edizione il corso di sceneggiatura è stato completamente riorganizzato e per la prima volta comprende sia il corso finalizzato ad apprendere le tecniche base per scrivere un soggetto (ex corso di primo livello) sia il corso finalizzato ad apprendere le tecniche base per scrivere una sceneggiatura (ex corso di secondo livello).
Il corso è quindi indicato sia per tutti coloro che desiderano apprendere le tecniche base della scrittura per il cinema, sia per chi desidera invece perfezionarle arrivando alla realizzazione di una sceneggiatura professionale.
I docenti del corso sono gli sceneggiatori Monica Zapelli, Graziano Diana, Ruggero Dipaola, Mario Sesti, Gino Ventriglia e il produttore Premio Oscar 2014 Nicola Giuliano.
Il primo modulo del corso dura circa cinque mesi. Il secondo modulo dura circa sette mesi.
Le lezioni si tengono il sabato dalle ore 9.30 alle ore 13.30, ogni due settimane, che possono diventare anche tre settimane, quando i corsisti saranno impegnati nella stesura di soggetto, trattamento o sceneggiatura.
In alcuni casi, che saranno preventivamente comunicati, la durata della lezione potrà essere di sei ore, dalle 9.30 alle 15.30.
Per entrambi i moduli del corso (soggetto e sceneggiatura) ci sono ancora gli ultimi posti disponibili.
Venerdì 30 novembre, alle 17.30, il produttore Nicola Giuliano, premio Oscar per La grande bellezza, inaugurerà la XXVI edizione del corso di sceneggiatura di primo livello Tracce, presso la sede della Indigo Film, in via Torino 135, a Roma. Selezioni ancora aperte. Ultimi posti disponibili.
Ci sono storie che si scrivono quasi da sole, quando ambientazione, personaggi, eventi e snodi narrativi sono già scritti e appaiono autentici perché lo sono. E qui la storia vera è quella di un ex agente dei servizi israeliani che decide di trarre un soggetto e una sceneggiatura dalla sua vita. Ed è così che nasce Fauda, serie Netflix ambientata nei territori occupati della Palestina.
Graham Green diceva che i servizi segreti sono il subconscio delle nazioni. Cosa è realmente una nazione, la sua politica, la sua storia, le sue ossessioni, e soprattutto il suo futuro, non si vede nella realtà della superficie ma è necessario scendere in profondità, laddove operano, e soprattutto notando come operano, i suoi servizi segreti. E se questo è vero, Fauda, rappresenta il subconscio di due nazioni contemporaneamente.
Siamo al confine tra Israele e la Cisgiordania. Il Mista’arvim, è una unità dell’esercito israeliano specializzato in operazioni sotto copertura nei territori occupati palestinesi. Il suo personale è composto da soldati israeliani in grado di passare per arabi. Oltre ad essere soldati scelti, parlano perfettamente l’arabo parlato dai palestinesi. E della Palestina ne conoscono storia, cultura e naturalmente conoscono perfettamente il Corano.
Il loro compito è l’antiterrorismo e le loro attività consistono nel progettare, condurre e portare a termine operazioni sul campo, con l’obbligo, chirurgico, di non coinvolgere civili ed estranei. Quello che ne ricavano è una alternanza di vittorie e fallimenti, ma in tutti i casi, un senso di frustrazione e notevoli dosi di stress post traumatico, ma soprattutto una sensazione, condivisa con i loro antagonisti, di trovarsi in una situazione priva di vie d’uscita.
Uno dei meriti della serie, tre stagioni su Netflix, la quarta in arrivo quest’anno, è quello di calare dentro lo spettatore in una realtà quotidiana di persone sempre più intrappolate in un conflitto più grande di loro, che li domina completamente, senza poter mai neppure lontanamente intravedere una soluzione.
I personaggi sono tutti intrappolati: l’unità diretta dall’inquieto Doron, compie azioni le cui conseguenze spesso ricadono violentemente su di loro. Il loro governo è a sua volta prigioniero della ragione politica che spesso condanna al fallimento, militare e umano, la sua stessa unità. L’Autorità Palestinese è sempre più prigioniera del movimento Hamas, a sua volta prigioniero della sua ala militare, a sua volta prigioniero degli estremisti che arrivano da tutte le nazioni limitrofe, a cominciare da quelle a loro volta più destabilizzate, come la Siria.
In mezzo a tutta questa “Fauda” (in arabo significa caos), si aggirano personaggi molto interessanti: il ribelle Doron (interpretato da Lior Raz, creatore della serie) capo unità sempre più scollegato dalla gerarchia militare e umanamente alla deriva, la dottoressa Shirin, medico all’ospedale di Ramallah divisa tra la lealtà palestinese e il desiderio di porre fine ad una lotta sempre più insensata che provoca morti e feriti in quantità industriali, la soldatessa Nurit, arrivata nell’unità con grande senso del dovere verso il proprio paese che vede sgretolarsi i valori in cui crede a cause delle azioni sempre più violente e inumane della sua squadra.
E poi Walid, forse il personaggio più bello: diciassettenne verosimilmente privato della sua infanzia, luogotenente di un leader estremista palestinese e destinato ad assumere sù di sé tutto il peso di un popolo sofferente oltre ogni misura e sempre in bilico tra umanità e cupio dissolvi.
“Cerchiamo sempre di trovare la somiglianza da entrambe le parti, tra la nemesi e l’eroe“, ha detto Lior Raz, il creatore della serie. “Ci sono somiglianze nel modo in cui si comportano, ma da una parte ci sono i terroristi, che uccidono persone innocenti e sono motivati dalla vendetta. Dall’altra il mio personaggio, Doron è motivato dalla caccia, dall’adrenalina e dal fatto che qualcuno sta minacciando la sua vita e quella della sua famiglia”.
Lior Raz è un ex soldato delle forze speciali, ha ideato e scritto la serie con un vecchio amico, Avi Issacharoff, un veterano del combattimento e un noto giornalista. Raz, che ha quarantacinque anni, interpreta Doron Kabilyo.
Una cicatrice di tre pollici, un ricordo di un incidente automobilistico, gli riga la fronte e gli dona un’aria da uomo con un passato. Lion vive con sua moglie e i suoi figli in un sobborgo appena a nord di Tel Aviv, ma è cresciuto principalmente a Gerusalemme ed è nato a Ma’ale Adumim, uno dei più grandi insediamenti ebraici in Cisgiordania, una città di quarantamila abitanti che generalmente gli israeliani considerano un sobborgo di Gerusalemme piuttosto che una sorta di avamposto in cima a una collina. Viene da un background mediorientale e militare: suo padre è nato in Iraq, sua madre in Algeria. Suo padre era un ufficiale di carriera nell’equivalente israeliano del Navy seals nello Shin Bet, i servizi di intelligence. A casa sua si è sempre parlato arabo e si ascoltava musica da tutto il Medio Oriente. Più tardi, suo padre si dimise dall’intelligence israeliana per mettersi a gestire un vivaio e gli amici di Lior erano bambini arabi di Azaria e Gerico che lavoravano lì.
Quando Raz aveva diciotto anni, seguì le orme del padre: entrò a far parte di Duvdevan, un’unità d’élite antiterrorismo concepita nel 1986 e che iniziò le operazioni non molto tempo prima dello scoppio della prima Intifada nei territori occupati. Duvdevan significa “ciliegia” in ebraico, un riflesso del suo status di ciliegina sulla torta nell’esercito. È il modello per l’unità senza nome in Fauda.
La sua unità era di stanza appena fuori Ramallah, la capitale de facto della Cisgiordania e la base per la leadership dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina. L’etica e l’addestramento assomigliavano a quelli del Navy seals: “spietato, brutale e costante”.
“A diciotto anni non sai bene cosa stai facendo. Pensavo che saremmo stati come James Bond, indossare una cravatta nera, bere Martini e prendendo i cattivi. Invece, abbiamo ottenuto fatiche inumane ed eterni falafel a pranzo a Ramallah”. Lui e i suoi amici aspiravano ad entrare nella unità Duvdevan non per ragioni ideologiche ma perché “vuoi far parte delle persone migliori del paese, per metterti alla prova. Vuoi essere fedele ai tuoi amici, proteggerli e far parte di una squadra che lavora insieme”.
La squadra al centro di Fauda lavora tanto quanto quella di Raz. Le sue operazioni vengono eseguite come rapidi “lavori dentro e fuori”, per arrestare un sospetto terrorista o per interrompere un’operazione terroristica. Il moto della Duvdevan era: “In qualsiasi forma, in qualsiasi luogo, in qualsiasi momento“.
I membri di Duvdevan non raccontano le missioni passate – quelli “devono rimanere oscuri”, ha detto Raz – ma parlano in termini altamente moralistici dell’unità, di come sono stati selezionati per il loro senso di probità e equilibrio. “Siamo stati scelti perché dovevamo essere calmi, morali, per non perdere la testa in mezzo ai guai, per pensare, per non comportarci come animali. Il compito era catturare il cattivo il più silenziosamente possibile, per evitare di uccidere o ferire chiunque altro. Alla fine di ogni operazione, c’era un debriefing su ciò che era successo e una valutazione sul lavoro svolto: ovvero fare un lavoro sporco nel modo più pulito possibile“.
Tre giorni dopo aver lasciato l’esercito, Raz si è diretto a Los Angeles con centoventicinque dollari in tasca. Per il suo background militare ha trovato subito lavoro in una società di sicurezza americana gestita da israeliani che lo hanno messo a guardia del corpo prima di Nastassja Kinski e poi di Arnold Schwarzenegger e famiglia. “Dopo l’esercito, sorvegliare una casa era piuttosto noioso”, e dopo cinque anni, quando ne aveva 25, è tornato in Israele.
Ha lavorato come batterista in una discoteca e poi come creativo in una agenzia pubblicitaria. Spinto da una ragazza a inseguire le sue ambizioni artistiche, ha iniziato a prendere lezioni di recitazione e ad ottenere ruoli in varie produzioni teatrali e televisive. E ha iniziato a pensare a un progetto che avrebbe attinto agli anni più pericolosi della sua vita.
Per circa due decenni, Raz e i suoi primi compagni nell’unità non hanno mai parlato del lato più brutto del loro lavoro, del prezzo richiesto ai palestinesi e del prezzo loro imposto. “È rimasto tutto lì e nel profondo di noi. Come persona, alla fine ti svegli e scopri di avere un disturbo da stress post-traumatico. Ti rendi conto di essere sempre teso, stressato, non stai dormendo, sei nervoso, sempre in allerta”. Quando a trentacinque anni, stufo di fare sempre lo stesso sogno, una pistola che si inceppa durante una sparatoria, ha deciso di andare da un terapista, nove anni fa. “Stavo per sposarmi. Ero stressato. Volevo solo essere un buon marito. Dopo circa cinque minuti di terapia, la psichiatra ha detto: “Hai il disturbo da stress post-traumatico, parliamone”.
Il business della televisione israeliana inizia con un ovvio svantaggio: il pubblico ha all’incirca le dimensioni di una qualunque metropoli occidentale. Inoltre gli ebrei ultraortodossi non guardano la televisione commerciale e molti israeliani palestinesi, che vivono a Nazareth, Umm al-Fahm, Acre, Haifa e in altre città e paesi, guardano le stazioni in lingua araba sul satellite. Le principali società di produzione, Keshet e Reshet, che creano programmi per il più grande canale di trasmissione, Channel 2, lottano per il pareggio; sperano di trarre profitto dalla vendita di proprietà all’estero.
Quando arrivano Raz e Issacharoff con in mano il soggetto della prima stagione di Fauda, i produttori sono scettici. Non solo non la vedranno – dicono – ma ci accuseranno, da destra a sinistra, di rappresentare i terroristi come eroi. Tuttavia quando il principale distributore israeliano di contenuti televisivi via satellite accetta di distribuire la serie, il progetto va in porto. E si comincia a girare. Un problema tecnico per Raz è stato che ha dovuto fare un provino per il ruolo principale, una circostanza che ha trovato “sconvolgente”. Ma quella non era certo la preoccupazione principale.
Raz e Issacharoff temevano che l’ala destra in Israele avrebbe detto che lo spettacolo aveva “umanizzato i terroristi”; temevano che la sinistra, insieme ai telespettatori arabi, dicesse che il suo ritratto di soldati umani era una farsa romantica e che ritraeva i palestinesi solo come terroristi. E invece.
Livida, magnetica, spiazzante, tecnicamente realizzata benissimo, Fauda è alla terza stagione, in attesa della quarta che arriva ad aprile 2021. Nel 2020 è stata la serie più vista di Netflix in Libano, la sesta in Giordania, la terza negli Emirati Arabi. È parlata per l’80% in arabo e per il 20% in ebraico. Consigliamo di vederla in lingua, anzi in lingue originali, per apprezzarne meglio la recitazione.
Corsi di Regia e Sceneggiatura di secondo livello in partenza a febbraio/marzo 2022- Iscrizioni aperte
Due nuove edizioni dei corsi di regia e sceneggiatura ai nastri di partenza nei mesi di febbraio/marzo 2022.
Corso di Regia Cinematografica
La settima edizione del Corso di Regia, come sempre coordinato da Daniele Luchetti, regista e sceneggiatore e che vede la presenza anche di docenti come i registi Andrea Molaioli, Denis Rabaglia e Antonio Capuano, il direttore della fotografia Vladan Radovic, i montatori Claudio Di Mauro e Annalisa Forgione, gli sceneggiatori Graziano Diana e Heidrun Schleef, il fonico Emanuele Cecere, lo story editor Gino Ventriglia.
Il Corso di Regia analizza in maniera completa l’esperienza del regista in relazione a tutti i reparti di una troupe cinematografica. Durante i mesi del corso, ogni corsista scrive la sceneggiatura di un cortometraggio, analizzata dai coordinatori e dai docenti, e viene affiancato nella preparazione, nelle riprese e nel montaggio finale del cortometraggio.
Sono aperte le selezioni e le iscrizioni sono subordinate ad un colloquio e alla presentazione di materiale pregresso che dimostri una conoscenza di base sulle tecniche cinematografiche.
Al via anche ilCorso di Sceneggiatura di II Livello, (corso master), destinato a chi già ha frequentato il nostro corso base, o a chi già conosce le tecniche base della scrittura cinematografica e che quindi può affrontare questo percorso formativo che prevede la realizzazione di una sceneggiatura per lungometraggio da presentare al produttore Nicola Giuliano della Indigo Film.
Il corso vede la partecipazione degli sceneggiatori Graziano Diana e Heidrun Schleef, lo story editor Gino Ventriglia, il montatore Claudio Di Mauro, il regista Andrea Molaioli, il critico cinematografico Mario Sesti, il regista Denis Rabaglia e due lezioni, una iniziale e una finale del produttore premio Oscar Nicola Giuliano, che spiega cosa si aspetta un produttore da una sceneggiatura, lezione fondamentale per uno sceneggiatore. Le selezioni sono in corso e le iscrizioni si effettuano su questa pagina.
In questo 2023 siamo arrivati a 31. Sei per il premio Mattador e ben 25 per il più prestigioso dei premi per sceneggiature originali, il Premio Solinas.
Sono tutti allievi dei corsi di sceneggiatura di primo e secondo livello (oggi riuniti in un unico imperdibile corso), che in questi anni sono stati premiati o arrivati in finale nei premi più prestigiosie oggi lavorano come professionisti nel cinema, in televisione o come autori per progetti multimediali.
Il campione in questo senso è certamente Guido Lombardi, che è ora un apprezzato regista e
sceneggiatore. Tra segnalazioni e primi premi, Guido ha portato ben 4 tra soggetti e sceneggiature a vincere per tre volte il Solinas.
“Quando Laura e io lo abbiamo conosciuto – dice Luca De Benedittis, tutor di Tracce assieme a Laura Soro – era un giovane napoletano laureato in sociologia. È stato tra i primi iscritti alla nostra prima edizione in assoluto del corso di sceneggiatura che si è tenuto nella splendida sede dell’Agis di piazza del Gesù a Napoli”.
Quell’edizione vide anche tredici lezioni tenute da Paolo Sorrentino (irripetibili e purtroppo irripetute), che quell’anno era a Napoli impegnato nel montaggio de Le conseguenze dell’amore e anche la prima edizione che vedeva Nicola Giuliano concludere il corso leggendo e commentando i soggetti scritti dai corsisti, appuntamento conclusivo, una sorta di “diploma del corso” che continua ancora oggi.
“Quell’incontro conclusivo è un appuntamento molto amato e allo stesso tempo temuto dagli allievi – dice Laura Soro – in quell’occasione gli allievi vivono la vera atmosfera che si respira in un incontro tra un autore e un produttore, con quest’ultimo che pone domande e chiede chiarimenti e l’autore che cerca di fugare tutti i dubbi. È una simulazione di un vero incontro che gli sceneggiatori terranno sempre nella loro vita professionale”.
Una volta terminato il corso, tutti gli allievi, allenati anche a scegliersi i compagni e a scrivere assieme, spiccano il grande salto confrontandosi con la realtà, il cui primo passo è sempre quello di partecipare a premi prestigiosi in grado di segnalarli al mercato.
Ma oltre a Guido Lombardi, quanti altri ex allievi hanno poi vinto premi importanti? Li abbiamo contati e ve li presentiamo (in neretto gli ex allievi della scuola).
Allievi dei corsi di sceneggiatura vincitori e finalisti
13° edizione Premio Mattador 2022
Vincitori ex aequo:
Notti con l’alba di Federica Corti – Vincitrice della borsa di formazione MATTADOR.
Le tracce di mio fratello di Arianna Santorsola e Chiara Aversa – vincitrici della borsa di
formazione MATTADOR.
8° edizione Mattador 2017
Primo premio:
In umana concezione di Aurora Piaggesi – Vincitrice della borsa di formazione MATTADOR.
6° edizione Mattador 2015.
Primo premio:
Parla in silenzio di Camilla Buizza – vincitore della borsa di formazione MATTADOR.
3° edizione Mattador 2012.
Vincitori:
Aquadro di Stefano Lodovichi e Davide Orsini – premio alla migliore sceneggiatura
2° edizione Mattador 2011.
Vincitori:
La mezza stagione di Danilo Caputo e Valentina Strada – premio alla migliore sceneggiatura
Soldato Bering di Davide Orsini – menzione speciale alla sceneggiatura
Premio Solinas edizione 2022
Sezione Premio Solinas Italia-Spagna. Menzione speciale a:
Blackout di Francesca Erriu e Riccardo Tamburini.
Premio Solinas documentario per il cinema – Premio IDS Academy a:
Hijab Paradise di Federica Corti
Finalista al premio:
La Mir di Chiara Atalanta Ridolfi.
Edizione Premio Solinas 2021
Premio Franco Solinas Miglior Sceneggiatura ex-aequo:
Gioia di Benedetta Mori, Giuliano Scarpinato e Chiara Tripaldi.
Edizione Premio Solinas 2019
Premio Franco Solinas – Borsa di studio Cladia Sbarigia – dedicata a premiare il talento nel raccontare i personaggi e l’universo femminile ex-aequo a:
Alice di Eleonora Bordi e Giulia Camilla Pace.
Edizione Premio Solinas 2018
Premio Solinas Experimenta Serie in collaborazione con Rai Fiction 2018
I finalisti:
Rewind di Angela Giammatteo.
Premio Documentario per il Cinema in collaborazione con Apollo 11
Finalista:
Humus di Giuditta Avossa.
Edizione Premio Solinas 2017
Premio Solinas Experimenta Serie in collaborazione con Rai Fiction 2017. Menzione speciale a:
Night out di Laura Grimaldi e Pietro Seghetti
3 Borse di Sviluppo di 2.000 euro ciascuna, finanziate da Rai Fiction, e la partecipazione al percorso di sviluppo, curato dal Premio Solinas a:
Night out di Laura Grimaldi e Pietro Seghetti
Premio Solinas Documentario per il Cinema – in collaborazione con Apollo 11
I finalisti:
Ines e Rafik (titolo originale Rue Garibaldi) di Federico Francioni. (Leggi l’intervista)
Edizione premio Solinas 2016
Premio Franco Solinas 2016. Borsa Di Studio Claudia Sbarigia a:
Il male minore di Giulia Camilla Pace
Posso piangere 5 minuti? di Costanza Durante e Laura Grimaldi
Premio Miglior Soggetto (I Fase). Menzione Speciale a:
Il male minore di Giulia Camilla Pace
Edizione Premio Solinas 2015
Premio Solinas La Bottega delle webseries. Finalisti:
Il Mai nato di Tania Innamorati (autore) e Daniele Grassetti (regista)
La tata dei sogni di Tommaso Triolo, Serena Tateo (autori) e Matteo Giancaspro (regista)
Premio Franco Solinas 2015. Premio Miglior Soggetto (I FASE)
Finalista:
La Liquidazione di Ezio Maisto, Paolo Cammarano e Ivan Russo
Edizione Premio Solinas 2014
Premio Franco Solinas 2014. Premio Miglior Soggetto:
Nikita Bloom di Angela Giammatteo
Borsa di studio Claudia Sbarigia a:
Nikita Bloom di Angela Giammatteo
Premio Solinas – La bottega delle webseries. Vincitori laboratorio sviluppo:
L’amore al tempo del precariato di Michele Bertini Malgarini, Olga Lateano e Eva Maria Giovanna Milella
Premio Solinas – Documentario per il Cinema. Finalista:
Il Forte dei Goldburt di Margherita Pescetti e Pietro Masturzo
Edizione Premio Solinas 2013
Premio Solinas – Documentario per il cinema in collaborazione con Apollo 11. Finalista:
Un bacio nel vento di Nicola Moruzzi
Edizione Premio Solinas 2012
Sezione Talenti in corto. Finalista:
Il Custode di Tommaso Triolo
Primo Premio Solinas – Storie per il Cinema
Finalisti:
Icaro di Federico Gnesini e Valentina Strada.
Lungo il fiume di Ezio Maisto e Maria Cristina Di Meo
Edizione Premio Solinas 2011
Sezione Experimenta. Finalista:
Aquadro di Davide Orsini e Stefano Lodovichi
Edizione Premio Solinas 2010
Sezione Talenti in corto.
Finalisti:
200 secondi di Marzia Turcato
Bianco di Angela Giammatteo e Antonio Ruscigno
Premio Solinas – Storie per il Cinema. Finalista:
Ferroveccchio di Pietro Passanante
Edizione premio Solinas 2007
Sezione Bottega creativa.
Sceneggiature segnalate:
Las Bas di Guido Lombardi.
Premio Solinas – Storie per il Cinema. Primo premio:
Il Ladro di giorni di Guido Lombardi.
Edizione Premio Solinas 2005
Premio Leo Benvenuti per la sceneggiatura di commedia ex-aequo:
Tracce arriva in Puglia con la prima edizione del Corso di Sceneggiatura, Scrivere un film, in collaborazione con il produttore cinematografico Attilio De Razza (David di Donatello 2017 per il film Indivisibili) e La Fabbrica 8.
Il corso si svolgerà negli spazi della Fabbrica 8 a Nardò, Lecce a partire da marzo 2019, durerà circa 8 weekend per un totale di 64 ore di corso e vedrà la partecipazione dei docenti di Tracce, gli sceneggiatori Graziano Diana, Heidrun Schleef, lo story editor Gino Ventriglia, lo sceneggiatore e regista Edoardo De Angelis, il montatore Claudio Di Mauro, la scrittrice e sceneggiatrice Ilaria Macchia, il produttore Attilio De Razza e il produttore premio Oscar Nicola Giuliano.
Il corso avrà le stesse caratteristiche dei corsi di sceneggiatura tipici di Tracce, giunti alla 26esima edizione in quindici anni di attività.
Nella prima parte del corso, i docenti insegneranno le tecniche e gli strumenti base per la creazione di un progetto cinematografico professionale: l’idea, il soggetto, la scaletta, il trattamento e la sceneggiatura. Saranno analizzati soggetti, trattamenti e sceneggiature di film celebri tratti dall’archivio di Age e Scarpelli, come La banda degli onesti, L’armata Brancaleone, e C’eravamo tanto amati, e di altri film tratti dall’archivio personale dei docenti. Sarà oggetto di studio, in particolare, il prezioso materiale originale dell’archivio di Age, uno dei decani degli sceneggiatori italiani (se non sapete chi è Age, non iscrivetevi a questo corso).
Nella seconda parte del corso, gli studenti presenteranno la loro idea, che potrà essere frutto della loro fantasia o tratta da un romanzo, racconto, saggio o altra opera letteraria e, in gruppi di due o tre, procederanno alla realizzazione di un soggetto originale e professionale che sarà poi presentato a Nicola Giuliano, produttore premio Oscar per La Grande Bellezza.
Le iscrizioni sono a numero chiuso, i partecipanti saranno al massimo venti per dare la possibilità ad ogni corsista di poter essere adeguatamente seguito dai docenti. Al termine del corso a tutti i partecipanti verrà rilasciato un attestato di partecipazione.
Le lezioni si svolgeranno negli spazi della Fabbrica 8, via Carducci 34, Nardò (Lecce), suddivise in sedici lezioni da quattro ore ciascuna, che si terranno durante otto week-end: il venerdì pomeriggio, dalle 16 alle 20, e il sabato mattina successivo, dalle 10 alle 14. Un week-end ogni tre settimane.
Il programma in dettaglio:
– L’idea narrativa e il tema.
– Il soggetto: arco narrativo e biografie dei personaggi.
– La struttura in tre atti.
– Il punto di vista.
– Il colpo di scena.
– La scaletta.
– Il trattamento.
– I trucchi del mestiere: suspense, rimonta.
– La sceneggiatura: i dialoghi.
– Proiezioni di film e analisi con l’autore.
– Esercitazioni scritte.
– Confronto tra la sceneggiatura di un film e il film girato e montato compiuto dallo stesso montatore
Termini e modalità d’iscrizione. Il termine per iscriversi è il 31 gennaio 2019. L’iscrizione è subordinata ad un colloquio di ammissione con gli organizzatori, Luca De Benedittis e Laura Soro, finalizzato ad accertare motivazioni personali e livello di conoscenza di base del cinema, necessarie per poterpartecipare con profitto al corso. Gli aspiranti corsisti verranno contattati per fissare la data del colloquio preliminare.
Il costo del corso è di 900,00 euro. È possibile pagarlo in tre rate. L’iscrizione si riterrà perfezionata al versamento della prima rata.
Iscrizioni e informazioni: compilare il modulo in questa pagina, oppure telefonare ai numeri 349-7266758 \ 346-4901058 oppure scrivere a traccesnc@gmail.com
“La cosa peggiore che può capitare ad un uomo che trascorre molto tempo da solo, è quella di non avere immaginazione. La vita, già di per sé noiosa e ripetitiva, diventa in mancanza di fantasia uno spettacolo mortale. Prendete questo individuo con il papillon: molte persone nel vederlo si divertirebbero a congetturare sulla sua professione, sul tipo di rapporti che intrattiene con queste donne; io invece, vedo davanti a me solo un uomo frivolo. Io non sono un uomo frivolo, l’unica cosa frivola che possiedo è il mio nome: Titta Di Girolamo”.
In questo monologo di Titta De Girolamo, il protagonista de Le Conseguenze dell’Amore, secondo film di Paolo Sorrentino, c’è forse tutto l’anti-Sorrentino, un uomo che non sa immaginare e che perciò non vede niente di interessante attorno a sé. Titta Di Girolamo è un uomo solo, che vive in un albergo, che lavora per la mafia essendone prigioniero e che decide di ribellarsi senza un vero perché. Ma sopratutto lo fa senza pensare alle conseguenze. Probabilmente perché non riesce a immaginarle.
Paolo Sorrentino invece, immagina tutto. Conseguenze e antecedenze, un prima e un dopo, digressioni e rimandi, cause ed effetti. In ogni suo film c’è tanto da vedere, sentire e percepire, e nonostante questo c’è anche la sensazione che ci sia dell’altro, che si intravede appena, si sospetta, si intuisce, e del quale se ne vorrebbe sapere di più.
Nicola Giuliano, suo primo produttore, racconta spesso ai corsisti di Tracce cosa ha pensato quando ha letto per la prima volta un soggetti di Sorrentino: “capisci che ha un mondo dentro”. Per cui non ti chiedi, come invece fai, rispetto ad altri autori, se sarà in grado, dopo aver scritto un bel soggetto, di scrivere anche una bella sceneggiatura.
“Almeno per me – ha detto Paolo Sorrentino – ogni film è un tentativo di svelare un mistero. Scrivere per il cinema significa anzitutto mettere in scena il proprio mondo. E prima di scrivere, bisogna capire se si ha questo universo da raccontare, che ovviamente abbia la sua originalità, che non sia convenzionale o banale”.
Ultimo di tre figli, nove anni di distanza dal fratello, e 14 dalla sorella, Paolo Sorrentino vive una infanzia e adolescenza come un figlio unico, a stretto contatto solo con i suoi genitori dei quali osserva la vita, le amicizie, gli incontri, le feste. Il passato è fonte di ricordi da elaborare per trasmetterli ai suoi personaggi.
“Da bambino ero quasi condannato a osservare, perché di persone della mia età con le quali interagire non ce n’erano poi molte. Stavo con i miei genitori e con i loro amici. Se i grandi mi rivolgevano la parola era per coccolarmi in maniera un po’ paternalistica. Ho trascorso un tempo che nel ricordo mi appare infinito, a vedere mio padre giocare a carte seduto su uno sgabellino. Guardando una partita di poker tra adulti si impara tantissimo: le allusioni, gli sfottò, le dinamiche del gioco, le psicologie. Gli amici di mio padre erano estremamente simpatici. Il poker implica delle attese e l’attesa stimola il parto della follia degli esseri umani. Potrei parlarne per ore. Alcune follie che li riguardavano le ho saccheggiate mettendole nei personaggi dei film“.
Il cantante confidenziale del suo primo film,L’Uomo in più, quel Tony Pisapia interpretato da Toni Servillo e più tardi protagonista del primo romanzo di Sorrentino, Hanno tutti ragione con il nome di Tony Pagoda, viene in parte proprio da quelle serate tra cinquantenni con un ragazzino ad osservarli.
“Il sabato sera, i miei invitavano gli amici a casa, mettevano un disco di Califano o Sinatra e ballavano i lenti. Io, bambino, li guardavo incantato. Ho fatto il mio primo film, storia di un cantante confidenziale, perché mio padre ascoltava Califano. Ho trasfigurato mio padre o gli amici di mio padre, cosa che ho fatto anche nella Grande bellezza. Essere figlio di genitori molto grandi mi ha aiutato ad osservare. Mi ero creato un mio bacino di immagini, un mio bacino affettivo nei confronti di questi adulti che oltretutto avevano delle regole precisissime: le donne giocavano a conchè, gli uomini giocavano a poker. E tutto questo mi è servito”.
Oltre alla memoria delle persone, c’è quella dei luoghi. Luoghi che a volte causano paure che ci porteremo dietro per tutta la vita.«Con i ragazzini del palazzo andammo a esplorare salgarianamente un palazzo davanti al nostro condominio. Dal piano terra iniziavano i normali appartamenti, ma il garage era da anni un cantiere semiabbandonato. Nel buio, dal nulla, all’improvviso uscì una donna vestita di nero e ci inseguì urlando con una scopa. Per me e per altri due bambini fu uno choc e trascorse tanto tempo perché riuscissi ad addormentarmi come prima. Ci dissero che erano tossicodipendenti, per me erano fantasmi. Per addormentarmi avevo bisogno che in casa ci fosse mio fratello. Sapevo che prima o poi mi avrebbe raggiunto in camera. Ma mio fratello era un grande nottambulo, uno che per gran parte della sua vita è tornato alle 5 del mattino, un uomo misterioso. Uno dei dibattiti più accesi, in casa, era imperniato su cosa facesse in giro ogni notte fino all’alba. Mia madre meditava di pedinarlo. Io lo aspettavo. Fino a quando non sentivo la chiave entrare nella toppa restavo con gli occhi sbarrati. Avevo dieci anni ed è allora che ho percepito la paura e la necessità di venire a patti con essa”.
Personaggi, azioni, luoghi, e anche suoni. “Quello del battere del coltello che mia madre usava per tagliare gli gnocchi. C’erano rumori rassicuranti e rumori misteriosi. Quello che tutte le sere alle 9 proveniva dal piano di sopra non si è mai capito da dove arrivasse. Era come una biglia che rimbalzava sul pavimento. Ma quando chiedevamo spiegazioni alla proprietaria dell’appartamento lei cadeva regolarmente dalle nuvole. ‘Biglie? Ma vi pare?’. L’inspiegabile ha alimentato la mia assoluta convinzione nell’esistenza dei fantasmi. Mia moglie mi prende sempre in giro per questa mia certezza”.
Ma come si riesce a pescare dal proprio passato e ad estrapolarne gli elementi di un racconto odierno? “La malinconia è l’ideale per pescare le idee dal tempo dell’infanzia. Chi disse che ciò che accade di definitivo nella vita, succede entro gli undici anni? Per me è andata proprio così. Anche Il Divo è nato dalla suggestione di un ragazzino che vedeva continuamente Giulio Andreotti in tv. Quell’ uomo, evidentemente, aveva colpito molto il mio immaginario, forse perché per me coincideva con il lupo mannaro che, secondo quel che allora usavano dire magari scorrettamente i genitori, poteva comparire all’ improvviso in fondo al corridoio. Per Le conseguenza dell’ amore, andò allo stesso modo. Se ci si pensa bene,i bambini vivono ampi varchi di noia e di solitudine. E io ho capito che la solitudine di quando ero bambino si poteva trasferire a un uomo di cinquant’ anni. Quel film si sarebbe potuto chiamare Le conseguenze della solitudine“.
Pescare dalla propria infanzia ma anche dal passato recente. “Per La Grande bellezza ho fatto proprio questo. Questo film volevo farlo almeno vent’anni fa, quando da ragazzo venivo a Roma per lavorare e bazzicavo bar legati alla televisione e vedevo tutto il mondo che non esitava a frequentare quelle forme di squallore che io trovavo meravigliose e che mi hanno sempre suggestionato molto. Dirigenti che cercavano di abbordare le ragazze giovani, cose molto miserabili che su di me avevano una presa forte. Facevo un mio archivio di cose romane e di contesti per me misteriosi: la televisione, il Vaticano, la politica, queste feste mondane, tutte cose che non conoscevo venendo da Napoli, e che mi affascinavano e che ho voluto conoscere attraverso il film”.
Anche nel suo primo film americano, This must be the place, ricorrono ricordi e immaginari: “Volevo misurarmi in maniera spudorata e spericolata con tutti i luoghi iconografici del cinema che mi hanno fatto amare questo lavoro sin da quando ero ragazzino: New York, il deserto americano, le stazioni di servizio, i bar bui coi banconi lunghissimi, gli orizzonti lontanissimi. I luoghi americani sono un sogno e, quando ci sei dentro, non diventano reali, ma continuano ad essere sogno. Questa stranissima condizione di continua sospensione dalla realtà mi è accaduta solo negli Stati Uniti”.
In quale momento tutti questi ricordi, frammenti di immagini, suoni, emozioni diventano scrittura? “La scrittura è un’altra cosa. Richiede, se non si vuole fare solo puro intrattenimento coi colpetti di scena, una moltitudine di sfaccettature, un’immersione nella vita passata e presente, insomma un complesso di coincidenze e talenti che potrebbero corrispondere all’intelligenza. Naturalmente, questa convergenza è rara e dunque si hanno sempre, a tutte le latitudini, molti bravi registi e pochi, capaci scrittori di cinema. Da sempre tengo da parte osservazioni, spunti, ritagli, cose che mi hanno raccontato. Per La Giovinezza ad esempio, in questa banca della memoria c’erano due reperti che hanno cominciato a lampeggiare. Uno era un fatto di cronaca: la regina Elisabetta aveva invitato Riccardo Muti a Buckingham Palace, ma non si erano messi d’accordo sul repertorio e lui non andò. La cosa mi colpì, perché da buon provinciale pensavo che alla regina non si potesse dire di no, ma Muti, napoletano come me, evidentemente si era sprovincializzato prima. La seconda era il ricordo di una cena con due uomini anziani che si erano messi a parlare di una ragazza di sessant’anni prima, ognuno voleva sapere se l’altro c’era stato. Non è che litigassero, ma si avvertiva una certa frizione”.
E quando i ricordi diventano un vero e proprio film? “Il film non nasce dallo studio di una materia, a me vengono in mente dei personaggi più che delle trame. Una volta che individuo un universo, intraprendo una fase di documentazione. È un lavoro che faccio in maniera molto ossessiva, ma non appena vedo che l’eccesso di conoscenza del tema del film va a impoverire la mia immaginazione mi fermo. Infatti, ho la conoscenza delle cose imprecisa e incompleta. Ad esempio per La Grande bellezzacominciai ad andare alle feste, ma dopo essere stato a tre feste non andai più perché stava diventando una routine. Preferisco idealizzare certi mondi e riproporli così. E sono anche convinto che questo mi avvicini alla verità molto di più. L’Italia è un paese meraviglioso, gravida di un campionario umano vastissimo, eterogeneo, intelligentissimo, cialtrone, ironico o estremamente serioso“.
E alla fine ogni film è una sorta di terapia psicologica, un andare a ritroso per ritrovare sé stessi. “Io credo che sapere troppo di sé stessi sia pericoloso. E anche un po’ inutile. In fondo all’anima, rischi sempre di trovare un essere umano bolso e appesantito. E non ci sono diete per migliorare il sé. Sì, probabilmente avrei avuto bisogno, come tanti, di andare in analisi, ma ho sempre evitato. Non è detto che poi ci trovi chissà quale rivelazione su di te. Potresti anche rischiare di non trovare niente”.
Qualche anno fa, parlando del passato e della perdita dei suoi genitori quando era ancora adolescente, Sorrentino disse: “Avevo sedici anni e fu una tragedia indescrivibile. Le parole che conosco non sono adatte. Servirebbero le immagini, la disinibizione e il coraggio. Servirebbe un film. Ma non è detto che, nei prossimi anni, non vinca il pudore e racconti di questo. Anche se sono trascorsi tanti anni, ci vuole tempo per ponderare, vincere le resistenze”.
E a giudicare da quello che sappiamo dell’ultimo film appena finito di girare, La mano di Dio, ambientato a Napoli, proprio negli anni di Maradona e del Sorrentino adolescente, film di cui non si sa nulla, ma che forse sarà un ulteriore tassello nel passato di un ragazzo in cui mettere definitivamente ordine. Lo vedremo.
Le dichiarazioni di Paolo Sorrentino sono tratte dalle seguenti interviste: