Guido Lombardi, classe 1975, è stato uno dei primi corsisti Tracce. Nel 2003 ha seguito le tredici lezioni di sceneggiatura con Paolo Sorrentino e Nicola Giuliano che costituivano il primo corso Tracce in assoluto. Ha poi partecipato al primo corso di sceneggiatura di II livello di Tracce.
È proprio durante il suo percorso con Tracce che nel 2005 partecipa al Premio Solinas con la sceneggiatura “Scarpe Nuove”, aggiudicandosi in ex aequo il premio Leo Benvenuti per la commedia. È ancora al Solinas due anni dopo che vince il primo premio con il soggetto “Il ladro di giorni” e viene segnalato per la sceneggiatura di Là-Bas – Educazione Criminale, che sarà realizzato nel 2011, al suo esordio da regista. Là-Bas è un successo: viene premiato alla Mostra cinematografica di Venezia col Premio Venezia Opera prima “Luigi De Laurentiis” e con il Premio del Pubblico “Kino” e consegue il Premio Flash Forward Opera Prima al Busan International Film Festival. L‘anno successivo si aggiudica il Premio Francesco Laudadio al BIFF e la nomination come Miglior regista esordiente ai David di Donatello.
Segue i backstage di Paolo Sorrentino nei suoi primi film, compreso Il Divo (2008). Il 2014 lo vede nelle sale con “Take Five”, il suo secondo film, in cui dirige fra gli altri Salvatore Striano, solo due anni prima nei panni di Bruto in “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani, vincitore dell’Orso d’oro al Festival di Berlino 2012. Di recente ha diretto l’episodio “Nina e Yoyo” nel film corale “Vieni a vivere a Napoli” (2016).
Ha pubblicato due romanzi, entrambi scritti a quattro mani: con Gaetano Di Vaio “Non mi avrete mai”, edito da Einaudi nel 2013; e con Salvatore Striano “Teste Matte”, edito da Chiare Lettere nel 2015.
Ora è in corso di lavorazione uno dei suoi primi soggetti, “Il ladro di giorni”, la cui sceneggiatura è frutto del lavoro con Luca De Benedittis e Marco Gianfreda (il primo sceneggiatore e socio fondatore di Tracce, il secondo regista e sceneggiatore ex corsista Tracce), ed è da proprio da qui che siamo partiti.
Ciao Guido, ci vuoi parlare del tuo prossimo film, il terzo da regista, “Il ladro di giorni”?
È un po’ difficile parlarne, in quanto io e Gaetano Di Vaio, il produttore (assieme a Nicola Giuliano), stiamo nella fase di ricerca fondi, ma siamo fiduciosi. Come hai premesso, il soggetto de “Il ladro di giorni” vinse il Solinas, oramai dieci anni fa.
Posso chiederti perchè dieci anni e come hanno inciso sulla maturazione della sceneggiatura definitiva?
Se non sbaglio la prima versione della sceneggiatura approvata in Rai era del 2009. Rispetto al soggetto originario uscito vincitore al Solinas è cambiato soprattutto il finale. Poi, considerando che siamo arrivati alla quindicesima versione della sceneggiatura, fra riscritture complete e lavoro più mirato sui dialoghi, puoi capire il percorso di maturazione. Sui dieci anni: i diversi impegni e il fatto che si tratti, in parte, di un road movie, e quindi più costoso e più difficile da produrre e mettere in mano all’esordiente che all’epoca ero, mi hanno fatto allontanare dal progetto.
Un po’ come i due protagonisti del film, insomma.
Sì, il film parla del tentativo di un padre di riallacciare i rapporti con il figlio, Salvo, che non vede da sette anni. Sette anni durante i quali gli è stato negato di vederlo crescere, perchè in carcere e perchè Salvo viene affidato alla cognata, che lo porta con sé in Svizzera. Qui il bambino vive una vita diversa da quella che aveva vissuto fino ai quattro/cinque anni. Parla il tedesco, va benissimo a scuola, vive tranquillo in una comunità tranquilla. È totalmente integrato quando irrompe il padre, che quasi non lo riconosce, tanto è cambiato. Da qui inizia un viaggio in cui il padre cercherà di riprendersi il tempo perduto e l’affetto negatogli, fra tentativi iniziali e ingenui del figlioletto di scappare, la ricerca del colpevole che lo incastrò e lo destinò agli anni di carcere e alcuni segreti sul passato del padre che emergeranno. Il tutto fra gli anni ’70/’80, o almeno è questa la volontà di noi autori.
Inoltre ci siamo voluti staccare dall’immaginario della Napoli criminale per ambientare la storia in una realtà più di provincia, diciamo. Abbiamo le idee chiare al riguardo ma, essendo in fase di ricerca fondi, non me la sento di dire che la ambienteremo in Puglia piuttosto che in Cilento.
Nei tuoi lavori precedenti i tuoi personaggi escono da o entrano in un mondo criminale. È lo stesso in “Il ladro di giorni”?
Non proprio. Mentre i miei primi lavori erano permeati, pure se a dire il vero ciò non costituiva il mio obiettivo primario, dal genere, ne “Il ladro di giorni” il genere c’è, ma è un motore di avviamento per una storia che è data dal rapporto padre-figlio. In realtà come in Là-Bas la mia ricerca si focalizza su altro: lì era raccontare la criminalità come possibile punto di approdo quando c’è miseria e povertà, tanto per uno straniero quanto per un italiano (Là-Bas parte dalla strage di Castel Volturno del 2008, in cui il clan dei casalesi uccise sei persone di origine africana – ndr), qui è raccontare la criminalità come mondo di provenienza del protagonista. Insomma: c’è il genere ma è solo un pretesto per parlare d’altro.
Hai lavorato a vario titolo con registi quali Paolo Sorrentino, Antonio Capuano e Stefano Incerti. Hai avuto modo di “rubare con gli occhi”?
Sì, certamente. Anche se, ad essere sinceri, sono dello stesso parere di Kubrick che disse: “Il miglior modo di fare film è farne uno”. Ma le esperienze sul set, pure se i tuoi compiti ti assorbono completamente, sono sempre preziose, chiaro.
I professionisti che ho nominato sono tutti partenopei, proprio come te. Come vive Napoli il cinema e come il cinema vive Napoli?
Dal mio punto di vista, sicuramente Napoli non è la città del cinema che è Roma, questo è ovvio. Ma il fatto che sia più piccola rende tutto e tutti più vicini. Non ho bisogno di andare a una festa, per dire, per riabbracciare un mio collaboratore o un mio collega, essendo alta la probabilità di incontrarlo in centro, e le collaborazioni nascono anche e soprattutto così. Poi, dal punto di vista di cosa faccia la città di Napoli e la sua amministrazione per il cinema, devo ammettere che, malgrado i soldi siano sempre pochi, le cose sono nettamente megliorate rispetto al passato. È più facile ottenere autorizzazioni e permessi; c’è più vivacità e partecipazione, in sostanza.
Guido, sei stato un pioniere in Tracce, e Tracce è orgogliosa di poterlo affermare. Cosa diresti a un aspirante sceneggiatore o regista? Quali consigli daresti?
Guarda, meno concorrenza abbiamo… (ride – ndr). Scherzi a parte, gli direi che il percorso che ho fatto io è uno dei tanti possibili, ma a conti fatti è stato anche l’unico che mi ha reso possibile ciò che è venuto poi, che sta venendo e che verrà.
Ho seguito i due corsi di scenegggiatura, di I e II livello, con Tracce. Lì ho avuto modo di imparare il mestiere mettendolo in pratica. Perchè se vuoi fare lo sceneggiatore devi scrivere, continuamente. Puoi leggere tutti i manuali del mondo, ma l’unica cosa che poi devi, prima o poi, fare è sempre quella: scrivere. E se lo fai seguito da professionisti di livello (per me furono Sorrentino e Nicola Giuliano, e so che Sorrentino partecipa tuttora ad alcuni incontri con i ragazzi di regia, mentre Nicola legge tutti i soggetti e le sceneggiature scritte dai corsisti) tanto meglio.
Ho imparato che si può scrivere da solo o insieme ma, indipendentemente da ciò, il parere altrui è sempre indispensabile, dei professori quanto anche dei tuoi colleghi. Lavori su qualcosa di concreto: il soggetto, che è la prima cosa che interessa ad un produttore.
Finii il corso di sceneggiatura di II livello che avevo in mano il soggetto de “Il ladro di giorni”. Piacque così tanto a Nicola Giuliano che ne comprò i diritti, ed ora, dopo averne scritto e riscritto la sceneggiatura assieme ad altri due professionisti conosciuti in Tracce, che sono Luca De Benedittis e Marco Gianfreda, speriamo che quel progetto possa vedere la luce. È un caso? Io credo di no.
Neanche io. Grazie Guido, e in bocca al lupo.
Crepi il lupo, e grazie.