Come i costumi fanno parte della narrazione e partecipano alla messa in scena. Johanna Bronner ha spiegato ai corsisti in cosa consiste e quanto sia bello e importante il lavoro di costumista.
Nella scena Gianni (Vittorio Gassman) e Antonio (Nino Manfredi) sono seduti ad un tavolo: uno ruspante avvocato in giacca e cravatta, che sappiamo già potrà tuffarsi in una piscina da ricchi; l’altro, umile e convinto proletario che recita da perdente fino alla fine del film, in maglione chiaro a maglia larga e camicia che spunta da collo e polsini, più povero che casual. Cosa hai suggerito ai ragazzi per attualizzare i costumi?
I due protagonisti maschili, Gianni e Antonio, hanno mestieri ben definiti: l’uno fa l’avvocato e l’altro l’infermiere. Nella scena originale i costumi esprimono non solo il ceto di appartenenza dei personaggi, ma sottolineano anche i loro caratteri: l’ambizione di Gianni e l’accettazione di Antonio del proprio ceto sociale.
L’interpretazione che i ragazzi hanno dato all’esercitazione è stata una trasposizione in chiave moderna della scena del film di Ettore Scola. Ho suggerito di partire da una ricerca sui codici di abbigliamento odierni, tipici dei due mestieri, e di scegliere gli elementi che esprimessero il carattere dei due protagonisti.
Per Luciana il discorso è stato un po’ più complesso, non avendo un preciso mestiere con cui identificarla. È un’aspirante attrice con l’aria svampita. In questo caso il vincolo che ho suggerito è stato di tipo prettamente narrativo. Era necessario vestire una donna bella e con velleità artistiche, ma che non fosse troppo eccentrica o sopra le righe, per rientrare nei gusti di un avvocato.
La scena nella trattoria del re della mezza porzione, infatti, è proprio quella in cui Luciana e Gianni si incontrano per la prima volta e si dichiarano amore reciproco. Per Luciana i ragazzi hanno deciso un look classico, ma con un’allure un po’ svampita, non totalmente inquadrata nella normalità.
La tua esperienza è veramente varia: teatro, televisione e soprattutto cinema delle “grandi firme”. Ricordiamo che hai lavorato con Milena Canonero nella squadra premiata con l’Oscar per i migliori costumi per Marie Antoinette di Sofia Coppola. E su altri set importanti di film (come Gangs of New York di Martin Scorsese) per i quali il costume faceva parte del genere e non poteva non farla da protagonista, anche nei capitoli di spesa. Nel panorama italiano più recente, però, si parla sempre meno di tagli di stoffa e sempre più di tagli al budget. Quanto questo ha trasformato il lavoro del tuo reparto? Ha rappresentato anche una sfida a ricorrere a mezzi più poveri ma anche più originali e fantasiosi?
Il mestiere del costumista è fatto di creatività che vorrebbe esprimersi al meglio, e il basso budget è spesso un forte vincolo.
Il nostro lavoro consiste nell’ interpretazione di un testo e nel tradurlo in immagine, ricreando l’atmosfera del racconto e il momento storico nel quale è ambientato. Tramite il costume, che diventa la seconda pelle dell’attore/attrice, aiutiamo gli interpreti a indossare i loro personaggi.
Quello che risulta sempre più difficile, dovuto ai budget ristretti, è proprio una delle cose più belle del nostro mestiere di costumista: poter disegnare e realizzare costumi ex novo, ideati esclusivamente per un dato film e per un determinato personaggio, individuando una chiave di lettura personale e unica al progetto.
Siamo sempre più spesso costretti ad usare costumi di repertorio per l’intero film: la progettualità per i costumi di un personaggio è vincolata a quello che si riesce a trovare di già esistente.
Quando i mezzi sono limitati, quello che si deve mettere di più in azione è sicuramente l’ingegno, ma non lo interpreto sempre come una nota positiva. L’inventiva, in questi casi, è orientata verso il lato più pratico: nonostante i mezzi poveri a disposizione, si cerca in tutti i modi possibili di ottenere costumi che soddisfino la propria visione e quella del regista. Ma la riuscita spesso non corrisponde al progetto iniziale.
Questa limitazione hanno potuto sperimentarla i ragazzi nell’esercitazione. Partendo da un’idea iniziale, hanno dovuto fare i conti con la realtà di un “non budget”, orientandosi nella scelta dei costumi che potevano trovare negli armadi di ciascuno di loro, scambiandosi vestiti e accessori. Il risultato si è avvicinato alla loro visione, ma è stato comunque dettato dai vincoli del già esistente.